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Cesare

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Il genio e la passione


Vergingetorige mise insieme più di centomila guerrieri da qualche parte della Gallia. Egli bruciò le terre sulle quali avrebbe dovuto transitare il nemico Cesare per non fare trovare nulla da mangiare. Terre sulle quali Cesare non passò: non era il tipo da fare passeggiate in luoghi inospitali. Invece portò qualche legione a valicare le Cevenne e Vergingetorige se le ritrovò dalla parte opposta, dove non le aspettava. L'escursione in montagna mise appetito ai Romani che, a valle, valicarono anche le mura di Avarico impiegando una piattaforma mobile con le sue belle torri d'assedio, sotto una pioggia torrenziale e facendo il tiro a segno dall'alto. Cesare entrava nelle città che gli piacevano ma gli dispiaceva che Vergingetorige uscisse da Alesia. Così costruì una palizzata attorno a quella città sopraelevata chiarendo cosa intendesse col verbo: circonvallare. Poiché al re dei Galli i rinforzi potevano arrivare solo attraverso un bosco, Cesare li attese all'uscita dello stesso. Osservò che non sarebbe stato importante il numero dei cavalieri sopravvenuti quanto quello degli alberi che ne avrebbero naturalmente frenato l'avanzata. Era un uomo amante della natura e dei suoi fenomeni. La natura portava alla decadenza inarrestabile delle istituzioni romane repubblicane e quanto ne soffrì il gentiluomo Cesare della gens Julia! In Gallia era un proconsole che aveva presto disatteso le indicazioni del senato sulle terre da occupare, poi si era messo ad arruolare soldati motu proprio. Aveva una maggiorata, la principessa Elvetica Rhiannon, ed ebbe un figlio da lei. Perchè fece tutto questo? Perchè non potè farne a meno. Nel frattempo a Roma gli ottimati non potevano fare a meno di fare nulla. Alla fine della campagna di Gallia furono proprio i senatori buoni a dichiarare lo stato di emergenza e nominare Pompeo comandante dei lealisti. Avessero almeno aspettato che Cesare dichiarasse la guerra civile! A meno che non vogliate attribuire significato eversivo al guado del Rubicone, alle citazioni dal gioco dei dadi - dopo la Gallia Comata, quella Italica era poca cosa – o alla discesa tra città in festa che lo applaudivano. Ad Alesia i suoi legionari gli avevano riservato una standing ovation a battaglia in corso ed esito neppure scontato, non ci risultano casi analoghi. Lui di tasca propria pagò loro il bonus che oggi i dirigenti fagocitano ad aziende che non posseggono, dopo averle mandate in rovina. I probiviri offesi lasciarono Roma e le stanze dei palazzi per trasferirsi a fare danni, prevalentemente, dall'altra parte dell'Adriatico. Singolare era l'amore dichiarato per quello che abbandonavano così alacremente, soldi dell'erario compresi, in questo almeno mantenendo una certa dignitas. Potevano però sempre dire che la colpa era di Cesare, mica la loro. Cesare non si rannicchiò nell'alveo istituzionale non perchè ce l'avesse particolarmente con loro, ma sua madre era morta e quello era l'unico alveo che aveva contato per lui. Cesare era vedovo di Cinnilla, aveva avuto amanti come Servilia e c'era voluto il suo coraggio, Rhiannon fu uccisa e suo figlio disperso, aveva la moglie Calpurnia che lo aspettava coi gatti nella sua residenza da Pontefice Massimo. Avrebbe voluto che almeno non fosse scappato da Roma Cicerone, che scriveva ottimi libri. Alla resa dei conti con Pompeo a Farsalo, si ritrovò contro Labieno che era stato suo luogotenente in Gallia. Labieno decise che quella sarebbe stata la battaglia dell'arma di cavalleria e lanciò all'attacco la sua. Cesare, come sempre in inferiorità numerica, lo ignorò e fece attaccare alla sua fanteria quella avversaria. I cavalleggeri di Labieno rimasero sconcertati, incerti se proseguire o ripiegare a proteggere i fanti. A quel punto Cesare non lasciò inoperosi neanche i suoi cavalleggeri e qui cala il sipario sulle velleità guerriere degli ottimati. La figlia di Cesare, Giulia, era morta di parto seguita a ruota da quella nonna Aurelia della quale abbiamo detto, gravemente depressa. Pompeo aveva esaudito il suo sogno di condividere le sorti di quegli aristocratici Romani verso i quali sempre aveva nutrito una dipendenza. Furono gli ultimi sussulti di una classe dirigente che, almeno, aveva combattuto con le armi in pugno. Con Marco Antonio si avvia già la separazione delle carriere tra militari e uomini di stato. Dietro Cesare c'è il pronipote quindicenne Ottavio e dietro di questo si delinea già la pace benedetta dai mercati internazionali, più che al cursus honorum le aspirazioni si orientano al conto in banca. Ottavio dovrà essere implacabile come ragioniere. Anche se sapeva fare i conti, suo zio Cesare non fu implacabile, ma rese tali molti. La sua grandezza fu quella di lasciare tutti con la convinzione che ci fosse ancora molto da fare. Più che a riflettere sull'importanza del molto che lui aveva fatto.

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